Palazzo Pantaleo
Nel 1770, come si evince dagli atti notarili, Francesco Maria Pantaleo comprò dal Reverendo Capitolo e Clero di Taranto un palazzo ed una casa, “propriamente sopra Civitanova, dirimpetto al porto”. Il complesso esistente fu demolito per far posto all’attuale residenza, progettata ed edificata separata dalle abitazioni circostanti e con un impianto omogeneo. Non si tratta quindi di una dimora nobiliare che nasce dall’accorpamento di unità edilizie preesistenti, come per la maggior parte delle abitazioni signorili del XVII e del XVIII secolo, ma di una costruzione ex-novo, in cui l’aggregazione si limita agli ambienti dal lato di Largo Civitanova, addossati al banco calcarenitico e quindi, al salto di quota dell’isola.
Tale caratteristica in aggiunta alle capacità del “maestro fabbricatore”, Francesco Saverio Miraglia e del decoratore di interni, il pittore Domenico Carella, hanno fatto del Palazzo Pantaleo un monumento architettonico di grande valore artistico.
I lavori per la costruzione durarono all’incirca tre anni (1770 - 1773), durante i quali il capomastro si servì anche di tutto il materiale del palazzo demolito: i mattoni vecchi e tutto il carparo e la pietra che si poteva cavare dal banco di roccia adiacente. I tre prospetti secondari, quelli cioè in affaccio sui vicoli e sul retrostante Largo Civitanova, visivamente di minor pregio architettonico, lasciano alla facciata e alle sue soluzioni architettoniche, ispirate all’edilizia aristocratica napoletana del ‘700, il compito di comunicare la rappresentatività del palazzo. Essa è contraddistinta da un ampio portale composto da un avancorpo in cui si apre un arco a tutto sesto costeggiato da paraste lisce a capitello semplice, sormontato da un triglifo (P. De Luca, 1998).
Sull’avancorpo si imposta il balcone principale, con una ringhiera bombata in ferro battuto, al quale si accede ad una grande porta finestra sormontata da un timpano curvilineo. Ai lati, con perfetta simmetria, si collocano due aperture simili, ma con balconi più piccoli, mentre al secondo piano nobile si aprono tre finestre più piccole, con balconcini tra loro uguali, a profilo curvilineo. Varcato il portone principale si entra in un grande androne coperto da una volta alla leccese, nel mezzo della quale campeggia lo stemma della famiglia: una torre merlata, cui si appoggia un leone rampante, sovrasta un’altra torre più stretta sormontata da una stella. A destra si trovano le stalle, mentre a sinistra, con ingresso indipendente, si trova la rimessa, cioè l’ambiente riservato al ricovero delle carrozze, coperto da una grande volta lunettata in carparo.
Dall’androne si passa al vano scala, tra gli elementi architettonici più scenografici del palazzo ed espressione dell’alto livello qualitativo raggiunto dall’edilizia civile del ‘700. Dal vano scala si passa al primo piano nobile mediante una scalinata a doppia rampa, arricchita di stucchi e decorazioni sia sui portali che sulle aperture praticabili e cieche. Nello spazio compreso tra l’androne e il primo piano nobile si aprono a destra e a sinistra della scala principale, una serie di ambienti di servizio, come la grande cucina rivestita con maioliche bianche e azzurre e la scala che consente l’accesso all’altro livello.
Al primo piano, passando dalla sala d’attesa, dove è collocato l’altare privato della famiglia, contraddistinto da una fine cornice in stucco, contenente un dipinto oggi disperso, si entra nell’ambiente di maggiore pregio, la Galleria.
Il soffitto del vano di rappresentanza, come quello della sala adiacente, è decorato con tele dipinte a tempera, inchiodate su carenature lignee, ed è caratterizzato da un’altra grande tela centrale, dipinta ad olio, realizzata. da Domenico Carella, “pittore di terra di Francavilla” ed inserita in una cornice dorata. Le altre camere hanno i soffitti dipinti con vari motivi decorativi a tempera o presentano la travatura lignea a vista con decorazione a serti vegetali e a fogliame semplice. Invertendo il punto d’osservazione, di grande pregio risultano essere le pavimentazioni maiolicate delle principali stanze, caratterizzate da mattonelle policrome, denominate "riggiole", di importazione campana, diffuse a partire dal '700 e in uso fino ai primi del '900 e provenienti prevalentemente dalle rinomate fornaci di Vietri (V. Farella, 1988).
Bibliografia essenziale:
- Domenico Ludovico De Vincentiis, Storia di Taranto, Taranto 1878, pp. 400-401
- Farella Vittorio, La città vecchia di Taranto. L’esperienza di risanamento e restauro conservativo, Brindisi - Taranto 1988, pp. 650 -369, 94 -111
- O. Sapio, R. Cofano, Il barone Francesco Maria Pantaleo si fa costruire, nel 1770, il suo palazzo sul lungomare, in Il ponte, il barone e altre storie: cronache Tarantine tra ‘600 e ‘900., Taranto 1997, pp. 51-63;
- Patrizia De Luca, Il centro storico di Taranto. L’Isola, Taranto 1998 (a cura di Giovanna Lamura).